Reviews

Daniel Deronda by George Eliot

gzofian's review against another edition

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4.0

A deep and thought provoking text. I found it hardwork as the language is of its time and my lazy modern mind is used to lighter sentences. It was worth the effort though.

coffeeandcopyrights's review against another edition

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1.0

DNF at 40%

"Mrs. Torrington was sure she would never sleep in her bed if she lived among blacks;"

I've loved Silas Marner, The Mill on the Floss, and Middlemarch.

My reading of Eliot stops here. The same thing happened for me as I worked my way through Dickens.

I choose what I read and there are far too many classics that don't include discussions that are racist, or stereotypically racist characters.

lee_foust's review against another edition

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5.0

Oddly, Daniel Deronda both constructs its greatness and, at the same time, shows itself grievously flawed through a doubling or setting up of parallel narratives, loosely linked by the title character, which take way too long to barely touch. The critical stance on the flaw is longstanding: Eliot knew very much about the interior of young women's minds and the upper class marriages of her British peers, but, quite obviously, she knew a lot less about Europe's Jewish community and thus the marriage (or not) of these two worlds produces a sort of lopsided novel, full of insight and tragic beauty in the one narrative, and naive pseudo-racism in the other.

While this is quite evidently true, or at least my reading concurred with the critical consensus before I knew of it, the sheer audacity and ultimate beauty of the attempt here to find common ground between late nineteenth century Zionism and the marriage habits of the English Gentry, and the wonderful theme of human, societal, and kinship relationships--what we owe to others and they to us, both our co-nationals, parents, family and even friends--is rather astounding. Thus five stars for the sheer chutzpah to attempt such an ambitious project. It does, in fits and starts, actually work, even as it utterly fails occasionally. Yet its success and failure hinge so closely upon the same thing, the very core of what the narrative seeks to do, that there's no imaging another version or a correction, it just is what it is, a glorious near miss, missing only because it aims so much higher than 99% of the other novels ever written.

Some of the parallels are obvious: the woman who was forced by an evil parent to sing and act when she didn't want to and the woman who had to break the bonds of her evil parent in order to do the singing and acting that she longed to do, but also more subtle as all of the characters represent various types of parents, or friends, or relatives, or spouces. We see those who abandon relationships for personal realization, and those who renounce themselves to serve family or race, as well as the struggle of the major players to do both, perhaps even at the same time. Thus the theme of human responsibility to one another rings true and important in the novel. It's not didactic, but rather presented as a kind of spectrum, inviting us to measure our own engagement with others through the panorama of relationships that it presents. This greatness of this theme, then, makes the flaws of passages, the naiveté of certain portraits and scenes, seem rather unimportant at tale's end--yet they were annoying at times as I read.

ellipsis914's review against another edition

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4.0

Finished, finally! I'm not sure what I was thinking when I picked up this nearly-900 page novel on a whim last month-- something to the effect of, "Oh, I'll just plow right through this real quick before I get on to the next thing." So, moral of the story, this is not a quick read. Don't take it on your next beach vacation.

It was, however, so much more than I expected. I was hoping for a love story as beautiful and elevating as Middlemarch, and what I got instead was a love story about Judaism. Considering the prejudice that was clearly prevalent at the time, I really admire Eliot's mission to renounce (delicately, subtly) the harsh judgment of Jews in 19th century England.

janey's review against another edition

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5.0

This is really 4 1/2 stars, rounded up. I love her writing, and the story is a good one, it has to be to keep the reader's attention for almost 1000 pages. But man, even though I know I need to read this bearing in mind the time in which it was written, it still just irked me endlessly when everyone just talks about Jewish people like they are less than human or some kind of extra-terrestrial beings who speak an unintelligible language. And this is true even with characters who are themselves Jewish. I should instead be glad that Eliot wrote a book sympathetic to the aliens rather than irritated that she portrayed them in a way I don't like, but there you have it. Read it anyway.

phoebemaranjian's review against another edition

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3.0

did not really land for me. dreading writing a paper on this one

e_woodhouse's review against another edition

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3.0

La storia dell'ultimo romanzo di George Eliot è quella di Gwendolen Harleth e dell’incontro con Daniel Deronda, e dell’impatto che avranno su di lei la personalità e la moralità di lui.

All’inizio del romanzo Gwendolen è una ventenne egocentrica che ama avere l’attenzione degli altri su di sé ed essere adulata, ma che in realtà è diretta verso un solo obiettivo: essere libera. È convinta che, per una come lei - ragazza vittoriana di buona famiglia - il matrimonio sia il modo più veloce per ottenere la libertà, che per lei equivale a indipendenza economica, fuga dalla noia, e non dover sottostare al giudizio altrui. Ad un certo punto del libro si prospetta la possibilità di diventare istitutrice e, più che il dover lavorare in sé, ciò che disgusta Gwendolen è l’idea di avere qualcuno che le dice cosa fare, e che la giudica per come lo fa.
Il matrimonio nell’Inghilterra dell’Ottocento non era certo un’istituzione egualitaria, ma Gwendolen, che in tutta la sua vita è stata capace di piegare sempre alla propria volontà quella della madre (che pure ama), crede di poter fare lo stesso col futuro marito, chiunque esso sia: questo la porta a sposare l’uomo sbagliato, Hanleigh Grandcourt, il quale dimostrerà una volontà di ferro, unita a una freddezza che è resa palese sin da subito, non solo nei gesti e nelle parole, ma anche nei numerosi paragoni a vari rettili, e soprattutto a una crudeltà che porta Gwen all’infelicità e al desiderio di fuggire o di, agli estremi, ucciderlo.

Il suo unico appiglio è Daniel, incontrato per caso durante un viaggio in Europa, che per lei sin da subito costituisce una sorta di bussola morale alla quale farà appello durante tutto il romanzo. 
Dal canto suo Daniel è occupato dal proprio percorso, che parte dal desiderio di scoprire le proprie origini e lo porta a capire cosa sarà del futuro, come impiegare la propria vita: cresciuto come un gentiluomo inglese da Sir Hugo Mallinger, gli è stato detto di essere orfano, ma sospetta di esserne figlio illegittimo. Per caso viene a contatto con la comunità ebrea di Londra, e in particolare un fratello e una sorella, Mordecai e Mirah, che lo spingeranno sempre più verso la religione ebraica.

La figura di Daniel nel romanzo assume quasi da subito sfaccettature religiose: sia Gwen che il personaggio di Mordecai lo vedono come una sorta di profeta che deve indicare la via, nel primo caso la via personale per essere una persona migliore, nel secondo quella per il popolo ebreo, che secondo Mordecai risiede nelle idee sioniste e nella creazione di una patria che possa accogliere gli ebrei dispersi per il mondo.

L’urgenza di queste idee viene mostrata in modo quasi brutale, agli occhi di una lettrice del ventunesimo secolo, attraverso i pregiudizi dei personaggi inglesi (tutti di ottimo stock e spesso con cognomi francesi a ricordare la venuta degli avi con il Conquistatore), che sono diffidenti, e a volte anche disgustati dall’idea di dover avere a che fare con i personaggi ebrei: anche quando una famiglia di madre e quattro figli aiuta e ospita Mirah in un momento di estrema difficoltà, tutti più o meno esplicitamente esprimono il desiderio che lasci perdere la ricerca della famiglia che ha perso, e che si converta al cristianesimo, in modo da poterla accogliere in pieno nella loro vita e nella loro società. Mirah è adorabile, canta come un angelo, è buona e gentile, ma la sua devozione alla propria famiglia e alle proprie origini (a quella che non è solo una religione ma anche un’etnia) è un aspetto che disturba gli inglesi.

La cosa che mi è piaciuta di più è come la Eliot parli di scelta, di cambiamento, della difficoltà di seguire una strada; di come si debbano confrontare le conseguenze delle proprie scelte; di come si vive il rapporto con la fede.

E mi è piaciuto come contrappone alla società vittoriana, che si considera morale, giusta, ordinata, ma che in realtà è spietata nelle sue regole (che impongono ad esempio come un dovere lo scegliere un matrimonio senza amore per ragioni economiche e sociali, e che non prendono in considerazione la volontà della singola persona, che deve essere sempre sacrificata alla società e alla famiglia), a quella della comunità ebrea, di Londra ma anche più in generale, che è guidata da una devozione familiare che viene dall’amore, anche per Dio; ed è una contrapposizione anche per quanto riguarda il dovere inteso nei confronti della società e come ruolo pubblico, che per il padre adottivo di Daniel in particolare ha a che fare col l'essere un politico che però non faccia niente per alterare l’ordinamento sociale; e che invece per Mordecai, che è il mezzo attraverso il quale Daniel conosce la società ebrea e la sua religione, è un vero e proprio destino, da abbracciare perché più grande e più importante del singolo.

Quello che però non mi è piaciuto è che i motivi che la Eliot vuole trattare prendono il sopravvento sulla trama, che si sviluppa spesso per incontri fortuiti che si rivelano fondamentali (come a dire che il percorso di Daniel era già segnato, il che gli toglie autonomia), e sui personaggi. In particolare la più sacrificata è Gwendolen, che parte come personaggio originale, caratterizzato con tratti negativi e col quale allo stesso tempo è facilissimo empatizzare, ma che nel corso del romanzo diventa inerte: immobilizzata in un matrimonio con un uomo crudele e convinta di dover sopportare perché non ha rispettato una promessa, via via che la storia prosegue non fa niente senza chiedere a Daniel quale sia la cosa giusta. Daniel diventa una sorta di padre spirituale - peraltro riluttante - ma questo le toglie agency. Gwendolen non prende in mano la propria vita, non sa scegliere, non sa affrontare i propri dilemmi morali, ma continuamente si rivolge a Daniel per avere delle risposte che dovrebbe trovare in se stessa.

Un altro difetto abbastanza serio è la non-caratterizzazione di Mirah, che ha un ruolo fondamentale nelle scelte di Daniel ma che è un personaggio completamente passivo (che accetta tutto ciò che la vita le impone perché la sofferenza è il destino del suo popolo) e che non suscita un grande interesse.

In più il romanzo è troppo lungo: questo accade quasi sempre coi vittoriani (la famosa questione dei tre volumi), ma non era così per Middlemarch e The Mill on the Floss, i due della Eliot che avevo già letto. 
Qui le quasi settecento pagine si sentono tutte. A partire dalla metà la lettura diventa progressivamente più frustrante se non si è particolarmente interessati alla questione ebrea nell’Ottocento; si ripetono scene non necessarie che non fanno altro che ribadire concetti già compresi (come le approssimativamente trecento volte in cui Grandcourt è brutale con tutti i personaggi che gli girano attorno, o tutte quelle in cui Gwendolen prega Daniel di non abbandonarla). Le ultime cento pagine di Gwen sono particolarmente fastidiose, e la sacrificano definitivamente all’altare del Daniel versione guida spirituale che a me francamente non interessava più di tanto.

marissakellett's review against another edition

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emotional hopeful reflective sad medium-paced
  • Plot- or character-driven? Character
  • Strong character development? Yes
  • Loveable characters? Yes
  • Diverse cast of characters? It's complicated
  • Flaws of characters a main focus? Yes

5.0

mercyowls's review against another edition

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4.0

Amazing book, except for the parts about Daniel Deronda.

w0carolina's review against another edition

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2.0

Estou profundamente irritada. Até antes do casamento da Gwendolen, a história estava ok, embora os personagens sejam um pouco entediantes desde o início. Mas a partir desse momento, as coisas se tornaram irritantes. Entendo que a quebra de uma promessa seja algo realmente digno de pesar a consciência, mas a motivação não era clara? O bem estar da mãe não é o suficiente para redimir Gwendolen em sua própria consciência? E qual a explicação para essa obsessão que ela tem com o Deronda, a ponto de ceder a ele a responsabilidade de servir como compasso moral? Sinceramente, não a entendo, e não acho nem justo, nem certo que ela seja corroída por culpa quando era óbvio que o Grandcourt jamais se casaria com a Sra. Glasher, ou apenas por ter pensamentos ruins (especialmente quando esses são tão bem justificados. Abuso psicológico ainda é uma forma de violência).
A história pessoal do Deronda, por outro lado, já não foi tão frustrante. Embora eu ache muita presunção da parte dele julgar a Gwendolen e se colocar como alguém de moral tão absurdamente superior. Ele não faz isso com a Mirah, mesmo quando ela demonstra submissão e fragilidade. A mensagem sionista é questionável, claro, mas acho que tudo bem desde que nem ele, nem o Mordecai acreditam ser necessário matar palestinos para organizar os judeus.
A mensagem da submissão incomodou. Nós saímos de toda aquela independência feminina vista em Middlemarch para cair nessa exultação da submissão. Gwendolen, que inicia o livro indômita, tem seu espírito esmagado e castigado injustamente, até virar uma sombra do que ela havia sido, enquanto a dócil Mirah vive seu grande amor dos sonhos, sua submissividade (primeiro ao pai, depois a Deronda e ao irmão) reconhecida e recompensada. Ugh. Dai-me paciência.