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sofiasierra's review against another edition
4.0
L'ho letto per l'università ed è stato estenuante per me (la mia lingua madre è lo spagnolo), ma l'idea mi è parsa molto ingeniosa.
pepina90's review against another edition
1.0
Sono stata obbligata dalla scuola a leggerlo, e sebbene a molti è piaciuto parecchio, a me non ha emozionato per niente. Pirandello non fa affatto per me.
milenita's review against another edition
5.0
"Per consolarmi, il signor Anselmo Paleari mi volle dimostrare con un lungo ragionamento che il bujo era immaginario. E mi svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lanterninosofia.
[...] E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l’albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l’aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch’esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna.
E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sè acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà davvero quell’ombra fittizia, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercè dell’Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?
[...] Ma domando io ora, signor Meis:
— E se tutto questo bujo, quest’enorme mistero, nel quale indarno i filosofi dapprima specularono, e che ora, pur rinunziando all’indagine di esso, la scienza non esclude, non fosse in fondo che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente, una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci persuadessimo che tutto questo mistero non esiste fuori di noi, ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioè, di cui le ho finora parlato? Se la morte, insomma, che ci fa tanta paura, non esistesse e fosse soltanto, non l’estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino, lo sciagurato sentimento che noi abbiamo di essa, penoso, pauroso, perchè limitato, definito da questo cerchio d’ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume, che noi, povere lucciole sperdute, ci projettiamo attorno, e in cui la vita nostra rimane come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale, eterna, nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre già ci siamo e sempre vi rimarremo, ma senza più questo sentimento d’esilio che ci angoscia? Il limite è illusorio, è relativo al poco lume nostro, della nostra individualità: nella realtà della natura non esiste. Noi, — non so se questo possa farle piacere — noi abbiamo sempre vissuto e sempre vivremo con l’universo; anche ora, in questa forma nostra, partecipiamo a tutte le manifestazioni dell’universo, ma non lo sappiamo, non lo vediamo, perchè purtroppo questo maledetto lumicino piagnucoloso ci fa vedere soltanto quel poco a cui esso arriva."
[...] E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l’albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l’aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch’esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna.
E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sè acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà davvero quell’ombra fittizia, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercè dell’Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?
[...] Ma domando io ora, signor Meis:
— E se tutto questo bujo, quest’enorme mistero, nel quale indarno i filosofi dapprima specularono, e che ora, pur rinunziando all’indagine di esso, la scienza non esclude, non fosse in fondo che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente, una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci persuadessimo che tutto questo mistero non esiste fuori di noi, ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioè, di cui le ho finora parlato? Se la morte, insomma, che ci fa tanta paura, non esistesse e fosse soltanto, non l’estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino, lo sciagurato sentimento che noi abbiamo di essa, penoso, pauroso, perchè limitato, definito da questo cerchio d’ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume, che noi, povere lucciole sperdute, ci projettiamo attorno, e in cui la vita nostra rimane come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale, eterna, nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre già ci siamo e sempre vi rimarremo, ma senza più questo sentimento d’esilio che ci angoscia? Il limite è illusorio, è relativo al poco lume nostro, della nostra individualità: nella realtà della natura non esiste. Noi, — non so se questo possa farle piacere — noi abbiamo sempre vissuto e sempre vivremo con l’universo; anche ora, in questa forma nostra, partecipiamo a tutte le manifestazioni dell’universo, ma non lo sappiamo, non lo vediamo, perchè purtroppo questo maledetto lumicino piagnucoloso ci fa vedere soltanto quel poco a cui esso arriva."
hel2021's review against another edition
adventurous
fast-paced
- Plot- or character-driven? Character
4.5
ssmcclay's review against another edition
3.0
An enjoyable read; I'm thankful for the NYRB series for presenting the modern English-speaking audience with such creative titles. A tragic comedy in the classic style, the protagonist is both endearing and insufferable; the bizarre situations in which he finds himself are quite entertaining. A book that it reminded me of is "Confederacy of Dunces" -- for those that enjoy that type of thing, I offer a solid recommendation.
demahccio's review against another edition
adventurous
challenging
dark
emotional
funny
hopeful
inspiring
lighthearted
mysterious
reflective
relaxing
sad
tense
medium-paced
- Plot- or character-driven? A mix
- Strong character development? It's complicated
- Loveable characters? Yes
- Diverse cast of characters? Yes
- Flaws of characters a main focus? Yes
5.0
lettore_sopravvalutato's review against another edition
4.0
Vivere fuori dalla vita
"Il fu Mattia Pascal" è incentrato sul tema della maschera e dell'identità, elementi che sono ricorrenti nelle opere pirandelliane.
Come nel racconto "la carriola", nella quale uno stimato avvocato ha come unica valvola di sfogo il poter far fare la carriola al cane, anche qui abbiamo un protagonista ingabbiato nelle convenzioni sociali e con l'ossessivo desiderio di allontanarle.
Se la maschera è considerata un peso per noi insostenibile - quasi decisivo nel nostro alienamento dalla realtà -, allo stesso tempo risulta l'unico modo per uniformarsi a un sistema impossibile da controllare: la nostra grigia e fastidiosa esistenza, perlomeno, viene convalidata.
Il gettare la maschera - sconfinare nella realtà vera - esalta l'identità, ma al prezzo di non essere più riconosciuto da quel meccanismo: l'esistenza cessa.
"Il fu Mattia Pascal" è incentrato sul tema della maschera e dell'identità, elementi che sono ricorrenti nelle opere pirandelliane.
Come nel racconto "la carriola", nella quale uno stimato avvocato ha come unica valvola di sfogo il poter far fare la carriola al cane, anche qui abbiamo un protagonista ingabbiato nelle convenzioni sociali e con l'ossessivo desiderio di allontanarle.
Se la maschera è considerata un peso per noi insostenibile - quasi decisivo nel nostro alienamento dalla realtà -, allo stesso tempo risulta l'unico modo per uniformarsi a un sistema impossibile da controllare: la nostra grigia e fastidiosa esistenza, perlomeno, viene convalidata.
Il gettare la maschera - sconfinare nella realtà vera - esalta l'identità, ma al prezzo di non essere più riconosciuto da quel meccanismo: l'esistenza cessa.
ilcosmodijess's review against another edition
4.0
Storia alquanto originale.
Ho alternato la lettura fisica all’audiolibro e lo consiglio.
Ho alternato la lettura fisica all’audiolibro e lo consiglio.
tessakarsten's review against another edition
4.0
“But perhaps the truth was this: that in my unlimited freedom, I found it difficult in some way to begin to live.”