Quando pensavo ormai di conoscere la penna di Shin Kyung-sook, lei mi ha preso alla sprovvista con "La danzatrice di Seul" romanzo ambientato nella Corea degli ultimi anni della dinastia Joseon, poco prima dell'invasione giapponese. L’autrice, pur esplorando qui temi a lei cari come la memoria, l'identità e le esperienze femminili, lo fa con uno stile più semplice e lineare, quasi impersonale oserei dire.
La storia segue la vita di Yi Jin, giovane orfana cresciuta alla corte reale come danzatrice favorita della regina. Con la sua bellezza e il suo talento, Jin attira l’attenzione di Victor, un diplomatico francese, che si invaghisce di lei a tal punto da portarla via dalla sua prigione dorata.
Comincia così il viaggio di Jin alla ricerca dell’autodeterminazione e della libertà. Chi è lei oltre le mura del palazzo reale? Cosa può fare se non servire con la sua danza? A chi appartiene? Più la ragazza conosce l’Occidente, più sente di non appartenere all’Oriente, e tuttavia nemmeno la Francia, con la sua cultura colonialista e opportunista, riesce a farla sentire a casa. Jin si sente condannata a una vita da forestiera e da burattina che deve intrattenere con la sua arte per sopravvivere. A nulla può l’Arte, che fa da ponte tra le culture e supera le barriere linguistiche. La diversità condanna Jin e i suoi simili a una vita di eterna solitudine.
Con un ritmo (forse troppo) lento, l’autrice esplora l’impossibilità per le donna di sfuggire completamente ai ruoli che la società impone loro, e lo fa con un finale che si presta a più interpretazioni: Jin trova finalmente se stessa oppure rinuncia alla propria identità? Questo lo lascio scoprire a voi.
La lettura, piacevole, per carità, non è per me tra le migliori dell’autrice, pur essendo forse la più fruibile per un pubblico più ampio. Avevo la sensazione che mancasse qualcosa tra i vari salti temporali e la riluttanza con cui i personaggi si raccontano. Non ho legato con nessuno di loro, anzi sono rimasta con la voglia di saperne di più, soprattutto su Yeon e su Hong e sullo sfondo storico che secondo me a volte viene raccontato in modo confuso.
Tempo fa, mi sono innamorata del romanzo "Prenditi cura di lei" di Shin Kyung Sook per la sua penna struggente e nostalgica, una penna che ho ritrovato, seppure con minore intensità, nel suo "Io ci sarò".
Una storia carica di dolore e rimpianto, che racconta di quelle amicizie universitarie che ti traghettano dagli anni timidi e sognanti dell'adolescenza agli anni disillusi e timorosi dell'età adulta.
In una Corea del Sud degli anni '80, gettata nel caos dalle rivolte studentesche e da un governo che fa di tutto per soffocare ogni ribellione, Jeong Yun, protagonista in lutto, stringe amicizia con Myeong Seo e Miru, un ragazzo e una ragazza uniti da un passato carico di misteri e di perdite.
Con dettagliata delicatezza, l'autrice porta il lettore indietro nel tempo, in un periodo incerto in cui i giovani sono animati dal fuoco della lotta e gli adulti sono ormai stanchi di combattere.
Tristemente, vediamo questo gruppo di amici trovarsi, lottare insieme contro le brutture del mondo, sostenersi nei momenti più bui, e perdersi quando il dolore diventa ormai irreversibile.
La gioventù non ritorna, ma il passato va ricordato per non diventare totalmente inutile, mentre la speranza va tramandata ai giovani, affinché un giorno le cose possano essere diverse.
Un omaggio ai vent'anni, quello di Shin Kyung Sook, a certe amicizie che talvolta ti salvano e talvolta ti distruggono; un omaggio a chi ha sofferto durante quegli anni di rivolta e soppressione, a chi ha perso l'innocenza insieme alle persone che amava per mano di carnefici che non hanno mai pagato.
Di questa lettura rimpiango solo il distacco. Ho sentito una grande lontananza tra me e i personaggi, non so bene dire da cosa fosse dovuta. Forse è la stessa distanza che Jeong Yun, voce narrante principale, si costringe a mettere tra sé e il suo passato per andare avanti e non farsi trascinare giù dal dolore. L'ho sentita tutta.
Flaws of characters a main focus? It's complicated
4.0
Aspettavo da tempo di leggere "La benedizione dell'ufficiale divino" (Tiān Guān Cì Fú) e l'attesa è stata senz'altro ripagata. Non vorrei più lasciare il fianco di Xiè Lián!
Solitamente adoro le storie sulle seconde occasioni, qui addirittura si parla di terze: asceso al Cielo come divinità per ben due volte, Xiè Lián è stato ogni volta bandito e deriso, diventando tra dèi e uomini una vera e propria barzelletta. Nessuno si affida più a lui per alcunché, è conosciuto ormai come il dio della Sfortuna.
Ma quando si presenta il momento di ascendere una terza volta, Xiè Lián ha finalmente l'occasione, dopo 800 anni, di dimostrare il suo valore e raggiungere quello che era sempre stato il suo scopo: salvare l'Umanità.
Ci sono una serie di prove ad attenderlo, la strada è impervia e costellata di esseri malvagi, cospirazioni e colpe che tornano a perseguitare le divinità. E c'è un misterioso ragazzo, che tanto giovane forse non è, per cui Xiè Lián prova subito un attaccamento fortissimo. Sente di conoscerlo da tempo.
Accompagnare Xiè Lián in queste prime avventure è stato piacevolissimo. La scrittura di Mò Xiāng Tóng Xiù è scorrevole, divertente, a tratti amara. Si destreggia bene tra il serio e il faceto: a scene crude e devastanti si alternano siparietti comici che alleggeriscono l'atmosfera e danno alla lettura un ritmo interessante.
I personaggi sono tutti ben caratterizzati e visibili, alcuni secondari più simili a "maschere" ma vedremo come evolverà il loro ruolo col proseguire della storia.
Xiè Lián e Sān Láng mi sono già entrati nel cuore e so che la loro storia mi devasterà nel miglior modo possibile ❤️ le loro interazioni, per quanto brevi, hanno lasciato il segno. Il secondo volume non arriverà mai troppo presto!
Una storia carina e leggera, con una buona rappresentazione dell'asessualità. A volte forse si sforza troppo di essere divertente, ma in generale la scrittura è gradevole e i personaggi molto simpatici.
Una storia di perdite, maternità e seconde occasioni: questo è "Luminosa". Con una scrittura scorrevole, asciutta, che va dritta al punto, l'autrice ripercorre i punti salienti della vita di Fausta, quarantenne benestante che un giorno si trova recapitata davanti casa una bambina di pochi mesi. È l'inizio di tutto o la fine di tutto?
Il tema della scelta è la spina dorsale del romanzo: scegliere di essere madre o di non esserlo, entrambe opzioni valide, entrambe la via scelta da Fausta in momenti diversi della sua vita. Non c'è giusto o sbagliato, c'è solo il momento adatto, insieme alla libertà di scelta e al desiderio (o meno) di maternità.
Amabile la figura di Fausta, donna forte e carismatica, che sa quello che vuole e come lavorare per ottenerlo. Fausta, che ha amato 3 uomini nella sua vita e da essi ha ottenuto e perso tanto. Fausta, che vuole amare ma senza scendere a patti con sé stessa, amare totalmente e incondizionatamente come una madre può fare.
Una storia semplice quella di "Luminosa" ma carica di significato, di dolore e di rimpianto, scritta senza momenti morti e senza vuoti che rendano la conclusione insoddisfacente. Assolutamente consigliato!
Flaws of characters a main focus? It's complicated
3.0
Un titolo che riflette l'esperienza di lettura: leggere "Bosco" è come addentrarsi in una selva sconosciuta. Ci si sente spaesati all'inizio, le immagini davanti ai nostri occhi sono confuse, poi pian piano tutto acquista un senso e si dipana il fil rouge che lega i suoi racconti.
"Bosco" racconta, in una narrazione che sperimenta con il linguaggio e con le immagini, di ciò che è nascosto e segreto, di solitudine e perdita del sogno, soprattutto in conseguenza al diventare adulti. È una raccolta di storie "immobili", istantanee di vita che descrivono il quotidiano nel suo eterno presente, adornandolo di un realismo magico che richiama tanto il Sudamerica quanto il Giappone.
"Bosco" è stata per me una uscita dalla comfort zone, un viaggio riflessivo tra le immagini e il tempo, tra i momenti umani e l'alienazione che ci porta a perdere l'umanità. Forse non è una lettura per tutti - è lontana dal romanzo e dai racconti in senso classico - ma può sorprendere e regalare più di una riflessione, soprattutto a una seconda lettura.
Divertirà chi ama scavare nel testo, interrogarsi, andare oltre la parola scritta per cercare la sua verità. E piacerà a chi ha voglia di giocare con la lingua e col linguaggio, a chi non si aspetta una storia servita su un piatto d'argento ma indizi su dove trovarne una (o magari immaginarla).
Cosa si è disposti a fare per ottenere attenzione, per sentirsi speciali, oggetti di un desiderio? Sonia è disposta ad accettare regali da Knut, sconosciuto incontrato sul web, e a fornirgli una fotografia. Comincia così la loro relazione insolita e all'apparenza innocua. Comincia così ma poi, inevitabilmente, diventa qualcos'altro.
Cosa spera di ottenere veramente Knut da Sonia? E perché entrambi continuano a cercarsi anche quando non sono felici di parlarsi?
"Cicatrice" di Sara Mesa è un romanzo che si legge con inquietudine, che sbalordisce, preoccupa e fa riflettere su quelle relazioni che non hanno motivo d'esistere eppure, in qualche modo, esistono.
Fa riflettere sui compromessi a cui si scende nelle relazioni sbagliate per rincorrere un ideale, una fantasia, quella persona desiderabile che si diventa riflessi negli occhi dell'altro.
La scrittura di Sara Mesa, autrice di cui ho già letto "Un amore" qualche anno fa, riesce con immediatezza a delineare questi personaggi soli, che scendono a patti con la vita pur di non affrontare i loro disagi interiori. Sa raccontare gli animi inquieti, misteriosi e ossessivi, le mancanze a cui talvolta non si riesce a dare un nome ma che ci sono, e ce le mostra chiaramente.
Chi è davvero Knut? E chi è davvero Sonia? Soprattutto, cosa diventano quando sono insieme? La risposta l'autrice la lascia ai lettori, io un'idea me la sono fatta. La vostra a voi.