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A review by la_cantina_dei_libri_0
La campana di vetro by Sylvia Plath
5.0
Sylvia Plath mette nero su bianco quella che è una realtà nuda e cruda e per quanto il genere umano tenti di sabotarla perché “scomoda”, è più reale di quanto si pensi.
Ester Greenwood è una giovane ragazza con un futuro roseo davanti a sé. Ha vinto una borsa di studio che la porta a New York dove svolge uno stage per una rivista importante. Le sue giornate sono dettate dal lavoro, ma anche da feste e divertimento. Dovrebbe essere la persona più felice di questo mondo, essere trascinata da tutta questa felicità e fortuna come lo sono il resto delle sue compagne, eppure c’è qualcosa che non funziona.
Ester è anticonformista, non si adegua alle regole della società del tempo, ma cerca comunque di adattarsi, ignara di cosa questo comportamento la condurrà.
Si sente fuori posto, esclusa, dubbiosa sulla vita. Decide così di ritornare a casa a Boston, dove per altro scopre di non essere stata ammessa al corso di scrittura creativa a cui teneva tanto e trascinata dallo sconforto tenta il suicidio.
La madre la porta in diversi ospedali e addirittura in alcuni manicomi per guarirla da questo male indescrivibile. Ester non dorme, non ha più interesse a prendersi cura di sé, ha poco appetito e l’unica attività che le giova è la scrittura. È come se il suo corpo fosse solo un involucro che racchiude uno spirito incapace di liberarsi. Ogni pensiero negativo prende il sopravvento e le avversità fanno da padrona. Tutto questo si proietta anche nelle sue relazioni, sia con le amiche sia con i ragazzi con cui si frequenta. Cerca di buttarsi nel vortice della realtà che la circonda senza però sentirsi inclusa.
Ester subisce trattamenti e cure estreme come l’elettroshock e deve assumere farmaci che peggiorano la sua situazione; solo quando incontrerà la dottoressa Nolan si potranno vedere degli spiragli di speranza.
Parlare di depressione non è mai facile. Spesso ci si incappa in esempi futili e si può arrivare a sminuire il problema molto complicato e serio.
Ester rappresenta una delle tante persone che non sono state ascoltate come devono, sono state prese e trattate come pupazzi, resi inermi e incapaci di agire per le stesse terapie sbagliate subite. Persone che non essendo conformi allo standard della società, vengono escluse, maltrattate come se si volessero eliminare. Queste stesse terapie portano a conseguenze ben più gravi del problema in sé.
Il finale aperto regala un po’ di speranza, perché Estern sembra guarita, si sente addirittura meglio, ma come può sapere se questa felicità durerà per sempre? Chi le garantisce che tutto quel peso non le ritorni addosso come se nulla fosse stato fatto? Ci saranno delle ricadute? E se ci saranno, riuscirà a lottare o si arrenderà una volta per tutte?
“Chi mi assicurava che un giorno […] la campana di vetro non sarebbe scesa di nuovo, con le sue soffocanti distorsioni?”
Il personaggio di Ester è fortemente autobiografico; ecco perché il libro ha una potenza che lascia poco spazio ai dubbi. Non vuole dare pena a nessuno, vuole semplicemente porre fine agli standard che danneggiano le persone e che dietro a tanta luce e positività, si possono nascondere le tenebre più oscure.
La stessa Sylvia Plath ha vissuto una vita simile e ricordiamo il tragico suicidio della scrittrice ad appena 31 anni.
Quando ti porti addosso un peso troppo pesante e non hai gli aiuti giusti, ti senti non conforme al resto del mondo, con tanto di insicurezza, dubbi e tristezza. La depressione è una malattia e in quanto tale deve essere curata nel migliore dei modi.
Lo stile di scrittura è semplice, diretto e racconta una realtà atroce, difficile da digerire, ma è indispensabile e importante portare alla luce. Il tutto è narrato in prima persona e grazie a numerosi flashback si possono recuperare pezzi importanti del passato.
Ester deve morire per poi rinascere. È delusa dalla realtà che non raggiunge le aspettative pensate, è costantemente in dubbio su cosa fare, ma nel frattempo la vita va avanti, il tempo scorre e la sua sfera psicologica ne pagare il prezzo più alto.
La vita di ogni persona è costernata da alti e bassi, momenti bui e momenti di felicità, ma ci possono anche essere momenti di felicità apparente, di esternalità e di incomprensione. Mente e corpo non si parlano, non collaborano e l’oscurità fa entrare in un brutto circolo vizioso la persona stessa. A volte le cure possono davvero aiutare, altre volte, invece, portano a un epilogo triste e difficile da digerire.
Sylvia Plath attraverso Ester Greenwood svela l’altra parte della medaglia, quella che si cerca sempre di nascondere. Chi soffre non può essere lasciato solo, deve essere preso in cura con le dovute precauzioni, altrimenti la campana di vetro scenderà di nuovo, sempre più forte, fino a non dare più spazio di respiro.
Ester Greenwood è una giovane ragazza con un futuro roseo davanti a sé. Ha vinto una borsa di studio che la porta a New York dove svolge uno stage per una rivista importante. Le sue giornate sono dettate dal lavoro, ma anche da feste e divertimento. Dovrebbe essere la persona più felice di questo mondo, essere trascinata da tutta questa felicità e fortuna come lo sono il resto delle sue compagne, eppure c’è qualcosa che non funziona.
Ester è anticonformista, non si adegua alle regole della società del tempo, ma cerca comunque di adattarsi, ignara di cosa questo comportamento la condurrà.
Si sente fuori posto, esclusa, dubbiosa sulla vita. Decide così di ritornare a casa a Boston, dove per altro scopre di non essere stata ammessa al corso di scrittura creativa a cui teneva tanto e trascinata dallo sconforto tenta il suicidio.
La madre la porta in diversi ospedali e addirittura in alcuni manicomi per guarirla da questo male indescrivibile. Ester non dorme, non ha più interesse a prendersi cura di sé, ha poco appetito e l’unica attività che le giova è la scrittura. È come se il suo corpo fosse solo un involucro che racchiude uno spirito incapace di liberarsi. Ogni pensiero negativo prende il sopravvento e le avversità fanno da padrona. Tutto questo si proietta anche nelle sue relazioni, sia con le amiche sia con i ragazzi con cui si frequenta. Cerca di buttarsi nel vortice della realtà che la circonda senza però sentirsi inclusa.
Ester subisce trattamenti e cure estreme come l’elettroshock e deve assumere farmaci che peggiorano la sua situazione; solo quando incontrerà la dottoressa Nolan si potranno vedere degli spiragli di speranza.
Parlare di depressione non è mai facile. Spesso ci si incappa in esempi futili e si può arrivare a sminuire il problema molto complicato e serio.
Ester rappresenta una delle tante persone che non sono state ascoltate come devono, sono state prese e trattate come pupazzi, resi inermi e incapaci di agire per le stesse terapie sbagliate subite. Persone che non essendo conformi allo standard della società, vengono escluse, maltrattate come se si volessero eliminare. Queste stesse terapie portano a conseguenze ben più gravi del problema in sé.
Il finale aperto regala un po’ di speranza, perché Estern sembra guarita, si sente addirittura meglio, ma come può sapere se questa felicità durerà per sempre? Chi le garantisce che tutto quel peso non le ritorni addosso come se nulla fosse stato fatto? Ci saranno delle ricadute? E se ci saranno, riuscirà a lottare o si arrenderà una volta per tutte?
“Chi mi assicurava che un giorno […] la campana di vetro non sarebbe scesa di nuovo, con le sue soffocanti distorsioni?”
Il personaggio di Ester è fortemente autobiografico; ecco perché il libro ha una potenza che lascia poco spazio ai dubbi. Non vuole dare pena a nessuno, vuole semplicemente porre fine agli standard che danneggiano le persone e che dietro a tanta luce e positività, si possono nascondere le tenebre più oscure.
La stessa Sylvia Plath ha vissuto una vita simile e ricordiamo il tragico suicidio della scrittrice ad appena 31 anni.
Quando ti porti addosso un peso troppo pesante e non hai gli aiuti giusti, ti senti non conforme al resto del mondo, con tanto di insicurezza, dubbi e tristezza. La depressione è una malattia e in quanto tale deve essere curata nel migliore dei modi.
Lo stile di scrittura è semplice, diretto e racconta una realtà atroce, difficile da digerire, ma è indispensabile e importante portare alla luce. Il tutto è narrato in prima persona e grazie a numerosi flashback si possono recuperare pezzi importanti del passato.
Ester deve morire per poi rinascere. È delusa dalla realtà che non raggiunge le aspettative pensate, è costantemente in dubbio su cosa fare, ma nel frattempo la vita va avanti, il tempo scorre e la sua sfera psicologica ne pagare il prezzo più alto.
La vita di ogni persona è costernata da alti e bassi, momenti bui e momenti di felicità, ma ci possono anche essere momenti di felicità apparente, di esternalità e di incomprensione. Mente e corpo non si parlano, non collaborano e l’oscurità fa entrare in un brutto circolo vizioso la persona stessa. A volte le cure possono davvero aiutare, altre volte, invece, portano a un epilogo triste e difficile da digerire.
Sylvia Plath attraverso Ester Greenwood svela l’altra parte della medaglia, quella che si cerca sempre di nascondere. Chi soffre non può essere lasciato solo, deve essere preso in cura con le dovute precauzioni, altrimenti la campana di vetro scenderà di nuovo, sempre più forte, fino a non dare più spazio di respiro.